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Diario politico. Omofobia, il no alla legge Ex An per approvarla. Binetti vota contro

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La nota politica quotidiana de il Politico.it. La firma, oggi, è di Ginevra Baffigo. Come il giornale della politica italiana vi ha ampiamente raccontato nel corso del pomeriggio, con l’aggiornamento a margine dell’intervista a Cristiana Alicata e poi con il pezzo di Andrea Sarubbi, la Camera boccia il ddl a tutela delle persone omosessuali. Sit-in di protesta, in serata, davanti a Montecitorio (nella foto). Il Pdl diviso, con nove finiani che assumono una posizione distinta, e Udc votano la pregiudiziale di costituzionalità posta dai centristi per le differenze che la legge avrebbe introdotto nei confronti di altre categorie, quali gli anziani e le persone disabili. Carfagna: «Mi farò carico di un ddl che preveda le aggravanti per tutti i fattori discriminanti indicati dal Trattato di Lisbona». Concia, prima firmataria della legge: «Mi vergogno di fare parte di questo Parlamento». Ma il dato che fa più rumore è il voto favorevole alla pregiudiziale del centrodestra espresso dalla parlamentare Democratica. Franceschini: «La sua permanenza nel Pd è un problema». E poi vi rendiamo conto della sollecitazione del Governatore di Bankitalia Draghi per l’aumento dell’età pensionabile (e reazioni); dell’iscrizione nel registro degli indagati di Di Pietro e Belpietro direttore di “Libero” per vilipendio nei confronti del presidente della Repubblica. Il racconto.

Nella foto, un momento del sit-in di protesta organizzato ieri sera davanti alla Camera

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di Ginevra BAFFIGO

La proposta di legge Concia sull’omofobia (necessaria e vincolante ai sensi del trattato di Lisbona) interrompe il proprio iter alla Camera. L’assemblea di Montecitorio ha infatti approvato, con i voti di Pdl e Lega, la questione pregiudiziale posta dall’Udc. Il Pd e l’Idv hanno votato contro; ciononostante il testo, presentato da Paola Concia, naufraga inesorabilmente alla deriva legislativa: 285 voti a favore, 222 contrari e 13 astensioni.
L’accordo raggiunto in Commissione Giustizia sul testo per l’omofobia si è perso letteralmente per strada. La maggioranza ha dimostrato la sua forza in Parlamento, ma ne è uscita spaccata, quanto il Pd. In sostanza, non si procederà più all’esame del provvedimento che prevedeva l’aggravante per i reati commessi «per finalità inerenti all’orientamento o alla discriminazione sessuale della persona offesa dal reato». La maggioranza e l’Udc avevano chiesto a tal riguardo un rinvio in Commissione. Ma, come raccontato dal nostro Andrea Sarubbi nel pomeriggio, una volta in aula, il Pdl ha votato per il proseguimento dell’esame e l’immediata votazione della pregiudiziale di costituzionalità. Pier Ferdinando Casini esplicita le ragioni per cui il suo partito ha sollevato la questione pregiudiziale: «Il Parlamento per seguire furori ideologici non può legiferare male, leggi confuse che non eliminano le discriminazioni ma anzi le accentuano. Penso a categorie come quella degli anziani o quella dei non autosufficienti. Sarebbero esse sì discriminate se avessimo approvato una legge di questo tipo». La berlusconiana Beatrice Lorenzin gli fa eco spiegando l’improvvisa decisione di avallo alla richiesta centrista: «C’era un accordo per rinviare il testo in Commissione, rimediare ai profili di incostituzionalità e poi riportare rapidamente il ddl all’esame dell’aula entro novembre. Poi, poco prima della votazione, un esponente del Pd si è avvicinato ai banchi della presidenza e ha spiegato che o si esplicitava il ritorno in aula a novembre o loro avrebbero votato contro. A quel punto, violato il patto, anche noi abbiamo votato contro».

Il caso Binetti. Gli umori, a Montecitorio, si esasperano e lo scontro si polarizza da subito fra Pd e Pdl. Sebbene non tutti i Democratici la pensino allo stesso modo in materia di diritti civili. Ben nota, ad esempio, la posizione della deputata Paola Binetti, e di quella correntina interna al Pd che trae da questa ispirazione. La Binetti quest’oggi si è schierata con il centrodestra a favore della pregiudiziale di costituzionalità. Questo frazionamento interno al Pd suscita non poche preoccupazioni, sintetizzate da Dario Franceschini: “E’ un problema, un signor problema”. Il segreDario evita di entrare nel merito della questione-teodem pubblicamente, ma sul verdetto sancito dalla Camera quest’oggi è duro: «La legge è stata bocciata dalla destra ed è una vergogna, perché dopo che tanti si erano detti disponibili a norme contro l’omofobia, che non dovrebbero avere colore politico, hanno votato compatti insieme all’Udc per bloccare la legge. La risposta che si dà agli omosessuali è che la legge non si fa, dovrebbero vergognarsi». Il caso Binetti, in compenso, viene sciorinato dall’aspirante candidato alla segreteria nazionale dei democratici, Pierluigi Bersani: «Qualche problema c’è», anche se con un’ultima battuta sembra ridimensionare il peso della “colpa”: «Altri hanno fermato la legge. La maggioranza ha votato contro».
Paola Binetti, dal canto suo, replica così alle accuse: «Per come era formulata la legge, le mie opinioni sull’omosessualità potevano essere individuate come un reato… Le mie e quelle di tante altre persone. Il testo era ambiguo, io ho votato per rinviarlo in Commissione e migliorarlo ma la richiesta di rinvio è stata bocciata. C’era un’ambiguità che giustificava le mie riserve».
Il ministro per le Pari opportunità, Mara Carfagna, preferisce puntare sulle responsabilità generali dei Democratici: «Mi farò garante, come ministro competente, di riparare all’errore commesso dal Partito Democratico, proponendo al Consiglio dei ministri un disegno di legge che preveda aggravanti per tutti i fattori discriminanti previsti dal Trattato di Lisbona, compresi quelli dell’età, della disabilità, dell’omosessualità e della transessualità». Volendo rimarcare poi le responsabilità dell’opposizione il ministro aggiunge: «Il Pd ha sbagliato a non sostenere il rinvio della legge in Commissione, che ci avrebbe consentito di risolvere alcuni piccoli problemi di costituzionalità emersi in Commissione Affari Costituzionali e, quindi, di far tornare il testo in Aula entro novembre per la sua definitiva approvazione. Con questo comportamento il Pd ha finito per affossare una la legge di civiltà alla quale abbiamo lavorato insieme per oltre un anno, deludendo non soltanto me, ma anche tutti quegli italiani che la aspettavano da tempo».
Ma la reazione più dura, come era prevedibile, è quella di Paola Concia, relatrice del testo: «Mi vergogno di far parte di questo Parlamento. Il Pdl ha detto bugie, mentre il mio gruppo senza avvertirmi ha cambiato idea e ha votato contro la possibilità di tenere in vita questa legge con il suo ritorno in commissione». Non tutte le speranze son perdute sembra risponderle Marina Sereni, vicecapo gruppo Pd alla Camera: «Questo testo ormai è morto, ma il Pd ne presenterà uno nuovo e chiederà che si lavori subito in Commissione su di esso, per discuterlo in aula a novembre».

Il no dei finiani. Le divisioni oggi si consumano anche nel Pdl, che vede frantumarsi lentamente l’apparente granitica compatezza. Nove deputati hanno votato contro la pregiudiziale di incostituzionalità: Italo Bocchino, Carmelo Briguglio, Giuseppe Calderisi, Benedetto Della Vedova, Chiara Moroni, Flavia Perina, Mario Pepe, Roberto Tortoli e Adolfo Urso. Salta subito all’occhio la loro vicinanza al presidente della Camera, per lo più si tratta dei finiani, di cui già avevamo registrato i malumori. Ma ancora nel Pdl si annoverano ben dieci astensioni: i ministri Elio Vito e Gianfranco Rotondi e la presidente della commissione Giustizia, Giulia Bongiorno.

RIFORMA DELLE PENSIONI - Mario Draghi richiama l’attenzione sulla necessità di una risolutiva riforma dell’asse pensionistico italiano. Il governatore di Bankitalia Indica il problema e prescrive una soluzione: aumento dell’età pensionabile e riforma degli ammortizzatori sociali. Nel corso di una lezione tenuta al collegio Carlo Alberto di Moncalieri a Torino, Draghi tocca il nervo scoperto del welfare italiano quando afferma “bisogna alzare l’età”. “Per assicurare prestazioni di importo adeguato a un numero crescente di pensionati – spiega il numero uno di Palazzo Koch – è indispensabile un aumento significativo dell’età media effettiva di pensionamento. Tale aumento – continua il Governatore – potrà contribuire, se accompagnato da azioni che consentano di rendere più flessibili orari e salari dei lavoratori più anziani, a elevare il tasso di attività e a sostenere la crescita potenziale dell’economia”. Draghi non dimentica poi di sottolineare come un adeguato sistema pensionistico costituisca anche un valido “ammortizzatore sociale” in momenti di recessione: “Nell’attuale crisi il sistema pensionistico ha garantito il reddito e la capacità di spesa di una parte cospicua della popolazione italiana. Quasi la metà delle famiglie riceve un reddito da pensione e per circa i due terzi di queste esso rappresenta la fonte principale di reddito”. Il Governatore inoltre guarda al dopo-crisi, alla necessità di rivedere e regolare i meccanismi del mondo del lavoro: “Superata la fase di emergenza resta la necessità di adeguare il nostro sistema di ammortizzatori sociali a un mercato del lavoro diventato più flessibile”. Una flessibilità, dunque, da non temere né demonizzare poiché, secondo Draghi, “sarebbe favorita la mobilità del lavoro, accresciuta l’efficienza produttiva, rafforzata la tutela dei lavoratori, aumentata l’equità sociale”. Le proposte di Draghi però non vengono accolte da tutti. Il ministro del Welfare Sacconi difende il proprio operato: “Le riforme fatte sono sufficienti. A partire da quella realizzata col provvedimento anticrisi che non può essere sottovalututa per il fatto che, per fortuna, non ha determinato forme di mobilitazione sociale”. E, a fargli eco, il presidente dell’Inps, Antonio Mastropasqua, rassicura: “Il sistema delle pensioni tiene e non c’è bisogno di nuovi interventi. Già nel dl anticrisi esiste una norma che adegua l’età pensionabile alle aspettative di vita e decorre dal 2015″. Timido ma puntuale il richiamo della Confindustria, sul punto sollevato da Mastropasqua: “E’ vero che nel decreto anticrisi gli adeguamenti che entreranno in funzione del 2015 saranno una sorta di meccanismo di stabilizzazione, ma si può fare di più”. Pronta anche la risposta della Cgil, con Guglielmo Epifani, che propone un tavolo comune fra le parti sociali ed il Governo: “Bisogna recuperare la flessibilità dell’età di uscita di vecchiaia, ma soprattutto bisogna considerare che quello dell’età è solo un aspetto di un problema molto più ampio”.

NAPOLITANO RISPONDE A BERLUSCONI. Giorgio Napolitano replica all’accusa essere “di sinistra” avanzata dal premier. Il presidente della Repubblica ribadisce di essere “uomo delle istituzioni e non di una parte politica” da ben 13 anni, ovvero da quando conquistò lo scranno più alto del Viminale. “Tredici anni fa nell’assumere l’incarico di ministro dell’Interno ero determinato a svolgerlo come uomo ormai delle istituzioni e non di una parte politica” rimanca Napolitano. Che in seguito torna ad invocare per il Paese un clima costruttivo e di dialogo. In particolare, rileva il bisogno di “incisive modifiche costituzionali” per portare a termine il percorso federalista in modo coerente.

VILIPENDIO PER I DUE “PIETRO”. Il leader dell’Idv si ritrova oggi dall’altra parte della sbarra: è stato iscritto al registro degli indagati della Procura di Roma per “offese al capo dello Stato”, esternate in occasione del via libera allo scudo fiscale. Da uomo di legge Di Pietro è tranquillo: “Rispetto la magistratura che bene fa ad approfondire la questione. Attiene a un diritto fondamentale di ogni cittadino la possibilità di poter criticare provvedimenti che non condivide, come nel caso in specie, ovvero lo scudo fiscale”.
E’ imputato per lo stesso reato anche Maurizio Belpietro, direttore di “Libero”.

Ginevra Baffigo


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